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Testo tratto dalla Guida turistica "Scilla, Aquila d'argento"
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Chiesa Immacolata
La chiesa matrice intitolata alla Madonna Immacolata è sicuramente, tra gli edifici religiosi della cittadina, quella di più antica fondazione come testimonierebbe d'altronde la presenza di una antica tavola: "La Madonna della Porta" (sec. XV). Si tratta, come afferma anche il Minasi di una “Madonna Odigitria” (colei che indica il cammino), così riportata anche nella S. Visita di Monsignor D’Afflitto del 1595. È probabile infatti che il culto a San Rocco si sia attestato solo più tardi, tra XV e XVI sec., e che solo successivamente il santo divenne patrono del centro.
Purtroppo, l’edificio ha subito nel tempo parecchi terremoti e ricostruzioni, di cui quello più funesto è stato quello del 1908. Dell’antico tempio restano solo le imponenti colonne della facciata decurtate di base e del capitello jonico che possedevano e, riutilizzati in modo non sempre ortodosso, frammenti marmorei (le due acquasantiere ovali baccellate, capitelli, piedistalli).
Un interessante ed intelligente recupero avvenuto di recente è la statua della Madonna Immacolata di ascendenze naccheriniane (scuola napoletana della fine del XVI sec.), che, un tempo situata in facciata ed ora sostituita da una copia, è stata posta all’interno dell’edificio. L’Immacolata infatti secondo le fonti, (Minasi) era nell’antica chiesa in altar maggiore e affiancata da due angeli adoranti. Uno di essi recuperato è di mano diversa rispetto alla Madonna e sembrerebbe molto più tardo (metà XVII sec. ?).
Altra opera di sicuro risalto è il busto di “San Pietro” in marmo bianco carrarese che proviene dall’antica chiesa eponima, situata in Aspromonte, ricostruita da Don Guglielmo Ruffo nel 1703, ed oggi non più esistente. Per la fattura il busto è ascrivibile a scuola romana ed in esso vi è la ripresa di elementi stilistici algardiani e berniniani. Vi sono anche dipinti interessanti in deposito temporaneo presso la Soprintendenza ai Beni A.A.A.S. di Cosenza, realizzati dal pittore napoletano Giacinto Diano (1731-1803): La Pietà (1761) e “La Visione di Sant’Andrea”. Quest’ultima tela è forse proveniente dalla chiesa di S. Maria di Portosalvo ove appunto esisteva un altare dedicato a Sant’Andrea. L’altra tela, “L’Angelo Annunziante” (di ignota provenienza) sembrerebbe invece di artista palermitano del XVIII sec. per ricchezza e sontuosità di panneggi esaltati dai colori forti e cangianti. Vi è ancora un Crocifisso del sec. XVIII che, secondo alcune fonti, fu realizzato dal monaco scillese Filangeri mentre inserito nel nuovo altar maggiore vi è un interessante paliotto realizzato in “marmi mischi” di vari colori forse di fattura napoletana e ascrivibile tra la fine del XVII sec. e gli inizi del XVIII. Esso proverrebbe secondo il Frangipane dall’antico Convento dei Cappuccini. Tra le preziose argenterie custodite vi è una croce in lamina argentea del XVIII sec. ed un calice in argento sbalzato e cesellato del sec. XVII donato dalla famiglia Ruffo dei duchi di Bagnara. Ascrivibile alla scuola napoletana del XVIII sec. è la statua processionale dell’Immacolata restaurata di recente così come la statua di S. Filomena del XIX sec. e le numerose statue in mistura (Le Varette) di interessante fattura. Nel 1986 la chiesa è stata arricchita nella parete absidale da un mosaico rappresentante l’Immacolata, il cui disegno è dell’artista scillese Mario Benedetto. Di rilievo è anche la Via Crucis realizzata dallo scultore contemporaneo, Michele Di Raco. La chiesa è stata di recente riaperta al culto, in quanto sono stati completati i lavori di rifacimento e abbellimento. |
Chiesa Spirito Santo
La chiesa-Oratorio dello Spirito Santo posta nell’omonimo quartiere a Marina Grande, sorge su un preesistente edificio sacro. La riconsacrazione avvenne il 7 dicembre del 1752, con il finanziamento della Confraternita ivi installata. Il terremoto del 1783 non arrecò gravissimi danni ma il maremoto che seguì distrusse la volta e le decorazioni ricostruite nel 1799. La facciata presenta un’architettura tardobarocca messa in risalto da paraste angolari in pietra calcarea da cui si sviluppa un nastro decorativo che termina all’apice con una sfera di appoggio della croce acroteriale mentre al di sopra del portaletto, un oculo quadrilobato alleggerisce la spazialità della facciata stessa. All’interno del timpano spezzato del portaletto rimane la sola raggera. La colomba, simbolo dello Spirito Santo, è stata “soppressa” durante gli ultimi restauri negli anni ’80. Nell’insieme, tutti questi elementi decorativi creano nella facciata continuità e diffusione modulata della luce, così come si può riscontrare nell’attigua torre campanaria posta al fianco destro dell’area absidale.
L’interno si presenta a navata unica con presbiterio e ampia abside. Le pareti sono scandite da paraste di ordine composito che delimitano le cappelle laterali inserite nelle arcate cieche.
Sulla trabeazione continua si imposta la grande volta con lunette
in corrispondenza delle finestre.
Gli stucchi alle pareti, attribuiti a Gioacchino Gianforma, costituiscono un effetto decorativo raffinato.
Pur non presentando esuberanti decorazioni dati da stucchi, arredi, suppellettili o altro, la chiesa, nel suo insieme, è elegante e dignitosa, impreziosita dalla presenza di un bel pulpito in legno laccato e decorato a foglia d’oro, dagli stalli lignei per la confraternita, dall’altare maggiore, opera di marmorari messinesi della fine del XVIII secolo alla cui sommità è posto un fregio in legno con angeli che reggono una corona e dagli altari laterali con le tele di fine XVIII inizi XIX secolo di autori ignoti raffiguranti Sant’Antonio in adorazione, San Vito e la Madonna del Carmine.
Si trovano al suo interno anche la statua della Madonna e di San Francesco da Paola (patrono dei marittimi), molto venerata dai fedeli.
Interessanti sono pure alcuni parati del XVIII secolo e gli argenti come il turibolo, navicella, un calice etc.
Senza dubbio tra le opere più importanti che si ammirano sono la pala dell’altare laterale posto a sinistra raffigurante San Francesco da Paola, interessante opera di un artista meridionale della seconda metà del XVIII che si rifà a un modello e a una iconografia precedente (XV-XVI sec.) e la pala dell’altare maggiore raffigurante “la Pentecoste”, opera firmata da Francesco Celebrano datata 1799. La figura che emerge è la madre di Dio seduta su una panca posta al centro della tela e attorniata dagli apostoli nel momento in cui ricevono lo Spirito Santo che discende su di loro sotto forma di lingue di fuoco mentre uno strato di nuvole divide la scena terrestre da quella celeste ove lo Spirito Santo, sotto forma di colomba avvolta in un alone luminoso e tra due schiere di cherubini fa scendere il raggio di luce sulla Vergine, collegando così, il cielo alla terra.
L’opera pare sia stata commissionata al famoso artista napoletano, secondo alcuni, dalla confraternita formata da marinai, secondo altri, pare sia stato un dono di Ferdinando IV al ritorno dell’esilio in Sicilia al tempo della Repubblica Partenopea.
In questa, probabilmente ultima opera del Celebrano, si riscontrano i richiami alla pittura del Solimena da cui il nostro ebbe la formazione, mentre l’influenza del De Mura, per quanto riguarda il trattamento cromatico, è altrettanto chiara anche se la corposità del colore è attenuata.
La cripta sottostante non direttamente proporzionata alla chiesa è chiaramente antecedente, anche se non di molto e occupa soltanto l’area compresa tra la porta d’ingresso laterale e l’inizio del presbiterio. |
Chiesa San Rocco
Fondata nel XV secolo, fu distrutta dal terremoto del 1783 e successivamente ricostruita. Nel 1862 metà dell’antica chiesa venne demolita e quindi ingrandita e decorata con preziosi stucchi e marmi. Il terremoto del 1908 non la distrusse completamente, rovinò la facciata ma si mantennero le mura perimetrali. Oggi infatti la chiesa è arricchita dai numerosi altari di marmi di vari colori che la ornavano nell’800 e si conservano numerosi dipinti e suppellettili. L’altar maggiore infatti che ha alla base un’iscrizione (Questo altare fu fatto a spese di Fran. De Franco fu Antonio e di altre due divote 1872), ne rivela, per la semplice ed elegante composizione dei marmi, antica fattura. Sicuramente l’opera più vetusta custodita nella chiesa è il San Rocco in marmo bianco alabastrino della fine del secolo XV posto nella nicchia che sormonta l’altar maggiore. La statua ha avuto nel tempo varie attribuzioni non sempre del tutto convincenti, ma sia quella del Frangipane “opera di bottega statuaria probabilmente messinese ma di origini toscane”, sia quella del Minasi -che notava la diversa fattura tra lo scannello e la statua- sono di grande utilità.
È indubbia infatti la grande raffinatezza della base decorata con grifi, fiori e volute mentre il Santo di struttura corporea piuttosto tozza presenta a sua volta elementi di un certo risalto formale. Infatti è da notare l’angelo alla base di forme “esilissime e graziose” (Minasi) che mostra con la mano sinistra la ferita del Santo, così come colpiscono le mani delicate del Santo pellegrino e le sottili increspature della veste, della barba e dei capelli. Si tratta quindi, per gli aspetti stilistici non omogenei, di un’opera di bottega siciliana, probabilmente dello scultore Antonello Freri, per interessanti raffronti con la “Madonna della Misericordia”, dello stesso di Castroreale, del 1510 pubblicata recentemente dal Negri Arnoldi.
Sempre di probabile scuola siciliana sono le 14 tele della Via Crucis ascrivibili alla fine del XVIII secolo. I grandi oli su tela raffiguranti: “Sant’Antonio che guarisce i malati”, “Sant’Antonio in adorazione di Gesù Bambino”, “Cristo con la Vergine in Gloria” sono del pittore messinese Antonio Filocamo così come l’opera firmata e datata “San Giorgio Martire in Adorazione” (Antonio Filocamo 1721), ove il Santo cavaliere è inginocchiato ai piedi della Vergine circondata da un coro di angeli. Sono presenti nei due altari a sinistra una piccola statua della Madonna Immacolata e una tela raffigurante San Camillo de Lellis probabilmente del XVIII sec. forse proveniente dall’altare dedicato al santo esistente un tempo nell’antica chiesa di S. Maria di Portosalvo.
Vi sono inoltre due statue lignee processionali di San Rocco, una considerata la principale e raffigurata con le ulcere bene in vista ed il cane vicino, e l’altra battezzata affettuosamente dai fedeli “Sant’a Roccheddu”. Si tratta di due opere di bottega meridionale da situare tra fine ‘700 e inizi ‘800. Interessante è anche la vara ancora in uso, soprattutto nella rappresentazione dei leoni alla base.
Di un certo pregio è inoltre la Croce in argento posta in altar maggiore che ha alla base l’iscrizione (1912 per Devozione di Rocco Siclari fu Domenico Antonio). Il portale d’ingresso in legno è opera realizzata dall’intagliatore scillese Domenico Focà ed è stato rimontato nella facciata moderna ricostruita negli anni ‘90. |
Chiesa San Giuseppe
L’odierno edificio è di antica fondazione, poiché un tempo la chiesa aveva diverso titolo, era cioè dedicata all’Annunziata. Tale ipotesi è suffragata sia dalle considerazioni del Minasi che ci riferisce sulla sua collocazione “all’estremità del quartiere Acquagrande”, odierna Chianalea- e sul suo essere “antichissima”, sia dalle recenti scoperte di antichi lacerti murari e frammenti pavimentali.
Nel Cinquecento, come emerge dalle visite di Mons. D’Afflitto la chiesa possedeva tra i “Iocalia” una antica icona dell’Annunciata probabilmente con una croce centrale, se viene elencata tra l’altro “una tela turchina per comboglio della croce della icona dove è dipinta l’immagine della Nunciata”. Si tratta probabilmente della stessa “antichissima immagine della Vergine titolare di detta chiesa, bellissima pittura su legno del XV secolo, che poi nel nostro, col solito fine di restaurazione, fu sconciamente rifatta, non rimanendo alcun vestigio dell’antica pittura” (Minasi), ed oggi dispersa.
Sempre il D’Afflitto riferisce nel Cinquecento l’esistenza di una Confraternita dell’Annunciata, di cui nel tempo si è persa traccia.
È probabile che nel Seicento la chiesa fu rimaneggiata o comunque ampliata in seguito alla venuta dei Padri Crociferi, la cui casa fu fondata da Donna Maria Ruffo con Istrumento del 12 luglio 1619. Ma a causa dei “gravosi debiti” della famiglia Ruffo l’erezione dell’edificio “attaccato” alla chiesa avvenne solo nel 1641 per volontà della Principessa Donna Giovanna Ruffo.
È infatti databile a metà Seicento l’atrio coperto da volte a crociera che era forse un tempo di maggiore lunghezza, come farebbe pensare (attraverso la visione di alcune foto precedenti gli ultimi restauri della facciata) l’antica arcata corrispondente all’ingresso, chiusa da muratura più recente e i pilastri mozzi all’estremità, che probabilmente sorreggevano altre volte.
L’ipotesi è quindi che l’atrio costituisse uno degli ambienti conventuali, ciò spiegherebbe sia la presenza dei sedili in muratura addossati alle pareti laterali, sia l’enfatizzazione del passaggio alla chiesa vera e propria attraverso il portale in pietra esistente. Il suo decoro, infatti, alla base delle colonne con elementi fitomorfi ricorda decorazioni tardomanieristi che, quindi, potrebbe essere stato integrato e rimaneggiato in età più tarda.
Non sappiamo quando la chiesa ebbe il titolo odierno di San Giuseppe, ma sia la data dell’odierna statua del Santo (1751), sia l’attestazione di uno speciale culto a lui dedicato dal medico Giuseppe Bova (1697-1783) ci danno elementi di certezza solo sulla presenza di tale altare all’interno della chiesa.
Sappiamo inoltre che vi era ancora l’altare dedicato a San Camillo, santo fondatore dell’Ordine dei Crociferi, accanto al quale altare si fece seppellire sempre il Bova “in segno della sua affezione” dopo il terribile sisma del 1783 (Minasi).
Oggi, all’interno della chiesa si conservano pochi oggetti d’arte, tra cui la venerata statua in cartapesta di San Giuseppe già citata, che ha alla base la scritta “A divozione dè Padrono Giacomo e Nunzio Matia e loro chiurma Anno 1751”, le statue della Madonna del Carmine e dell’Immacolata, due piccole statue, una dell’Ecce Homo per tradizione attribuita al canonico Pietro Ingegniere vissuto a Scilla nell’Ottocento e l’altra dell’Addolorata, esposte un tempo in due custodie ed oggi conservate in sagrestia. È di un certo interesse un ostensorio in argento che viene esposto in chiesa nei tre giorni antecedenti la festa di San Giuseppe. Vi sono inoltre un calice in argento dorato ed una pisside d’argento. |
Chiesa SS.ma Maria Portosalvo
Fondata nel XVIII secolo e posta nel cuore del quartiere Chianalea, l’edificio nasce e si sostanzia ad opera della fattiva confraternita di pescatori e marinai, peraltro già esistente nel 1600.
Il Minasi, parlando di questo edificio, lo collega alla distrutta chiesa di Santa Lucia, poiché le sacre suppellettili lì presenti vennero successivamente spostate nella nuova chiesa.
È probabile dunque che da una confraternita già esistente nell’antico edificio nascesse l’esigenza della costruzione di un nuovo tempio dedicato alla Vergine, il cui titolo e la cui diffusione è ancor oggi notevole tra le località marine dell’intera provincia.
Anticamente la chiesa possedeva cinque altari tutti in marmo dedicati il principale alla Madonna di Portosalvo, uno al Crocifisso, poi a Sant’Andrea, a Santa Lucia e a San Camillo de Lellis.
L’edificio odierno ricostruito dopo i due terremoti del 1783 e del 1908 si eleva su un ampio sagrato, piccola piazza circondata da un artistica cancellata in ferro battuto e ghisa. La facciata novecentesca è spartita da classicheggianti lesene e valorizzata da un bel tondo raffigurante la Madonna col Bambino. All’interno permangono solo i due altari dedicati a Santa Maria di Portosalvo e al Crocifisso, poiché il dipinto con le Sante Vergini Lucia, Agata e Barbara è in temporaneo deposito presso la chiesa matrice. La tela di raffinata esecuzione rivela tangenze con la pittura messinese del XVIII sec. ed è vicina al linguaggio del pittore Giovanni Tuccari.
L’altar maggiore ottocentesco -molto integrato- presenta nel paliotto a centro una Santa Lucia e due stemmi laterali raffiguranti un compasso ed una rosa dei Venti. Nella tela che lo sormonta è raffigurata la Madonna di Portosalvo coi Santi Cosma e Damiano e le Anime del Purgatorio con sullo sfondo la rocca scillese e databile alla metà del settecento. Questa per disparità di esecuzione e struttura arcaizzante può ritenersi vicina agli esiti della bottega di Placido Campolo, pittore che pur vissuto e operante nella Messina del Settecento era piuttosto attardato a schemi di primo Seicento. All’altare a sinistra, particolarmente raffinato è il Crocifisso ligneo che tuttavia sembra ben precedente e di diversa mano dei due angeli reggitorcia laterali che sono ascrivibili a manifattura napoletana per le aggraziate movenze e a pieno Settecento.
Di rilievo sono anche nella chiesa e posti in altar maggiore due statuette lignee dei Santi Cosma e Damiano i cui visi raffinati rimandano ad un’esecuzione dei maestri presepiali napoletani, mentre è ben più antica, forse secentesca, la realizzazione di due piccole teste lignee -forse provenienti dall’antica chiesa di Santa Lucia- apposte nel pulpito ligneo di fattura posteriore.
Vi sono inoltre altre opere ivi custodite: la statua della Madonna di Portosalvo, ancora due statue dei Santi Medici di minor pregio, una S. Teresa (XX sec.) custodita in una pregevole custodia lignea, una S. Lucia (XX sec.) in armadio ligneo di foggia neogotica. Di un certo interesse è l’organo ligneo con mantice a mano probabilmente di fine ‘800. Le interessanti argenterie custodite tra cui calici, reliquiari di S. Lucia e dei Ss Medici, e lo stesso portello del tabernacolo (raffigurante il Cuore di Gesù) sono vicine ai prodotti di bottega messinese di fine Seicento inizi Settecento. |
Chiesa di San Giovanni
Sorge nel quartiere San Giorgio, alla 4ª traversa di via Libertà.
La chiesa è stata edificata nel periodo seguente al catastrofico sisma del 1908, ed ha quindi la struttura di una baracca.
Al suo interno si trovano, in Altare Maggiore un’interessante pala raffigurante la Crocefissione, con un pregevole Crocifisso ligneo e negli altari laterali un dipinto su tela di San Giovanni Battista, le statue di Sant’Antonio da Padova e San Giovanni Battista. |
Chiesa del Carmine
Dopo la demolizione della vecchia chiesa settecentesca, fu riedificata all’indomani del sisma del 1908, a spese del Pontefice PIO X. La struttura baraccata è stata sostituita negli anni ‘20 da un edificio in muratura.
Pregevoli alcuni dipinti su tela del pittore Gullì. Espone le statue della Madonna del Carmine e della Madonna del Rosario, quest’ultima caratteristica per la parrucca di capelli veri che indossa.
Conserva anche la statua di San Pasquale, che in passato veniva portata in processione. Di dimensioni eccezionali la chiave del portone. |
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